Palermo, la gringa
Come mi sono innamorata di questa città immensa e accogliente.
Ricordo la prima volta che Buenos Aires è apparsa sotto i miei occhi: una distesa sconfinata di luci che sbucavano come lucciole dall’oscurità dell’oceano e dalle rive del Río de la Plata. Il fiume, così ampio da sembrare un mare, nascondeva nel buio il suo caratteristico color marrone.
Sapevo che mi sarei innamorata di questa città, lo avevo già deciso.
Buenos Aires mi è apparsa così anche questa volta, in una serata di piena estate argentina.
Atterrimo. E’ notte e un remisero (una specie di taxista privato) ci sorride, sudato, in mezzo alla folla di cartelli di chi è in attesa di altri viaggiatori, principalmente brasiliani e statunitensi.

La corsa verso la città dura circa mezz’ora e, mentre il taxista Carlos racconta dei suoi cani e della piscinetta nel suo giardino, guardo fuori dai finestrini le case che si susseguono alternate ad altre case, palazzi altissimi poi insiemi di baracche, contrapposti ad impeccabili edifici moderni.
Poi vedo le strade che conducono a enormi cancellate: sono le porte dei barrios privados o country, i quartieri residenziali per chi può e vuole pagare per vivere dentro un recinto protetto da sistemi di allarme e guardie all’entrata 24 ore su 24; qui solo i proprietari e i loro ospiti possono passare.
Tutte le città sono piene di contrasti e Buenos Aires ne è la regina.
Gli argentini che non ci vivono la temono, “state attenti!”…E riportano concitati episodi recenti di furti violenti. Ma il remís passa oltre un cavalcavia dall’aria poco raccomandabile e ci porta fino a Palermo, il quartiere dove approdano tutti i turisti.
Questa volta Palermo mi sembra Barcellona, forse per gli stranieri in maglietta bianca e le donne senza borsetta, seduti nelle terrazze al ritmo rilassato dell’estate…
Ma non ci sono dubbi: siamo a Buenos Aires. Respiro, felice come a casa, l’accento trascinato, la gestualità quasi italiana e le espressioni colorite e divertenti scambiate con il vicino di tavolo e caffè.
Le case coloniali sono dipinte con colori che vanno dal verde pistacchio al rosa-rosso-bordeaux, poi grigio intenso e giallo oppure sono decorate con murales eccentrici. Ho visto case disegnate con cascate di televisori, zebre impressioniste, colibrì giganti e fiori. Basta girare l’angolo e gli edifici nuovi si innalzano, come monoliti brillanti, fra le case di inizio del ‘900.
Questi moderni appartamenti hanno il portiere, una piscina in giardino o sui tetti e “SUM”: la zona con la parrilla (il barbecue non può mancare!), una sala comune per i condomini e spesso una piccola palestra.




Il quartiere di Palermo è abitato da artisti e professionisti; negli ultimi anni varie zone limitrofe hanno cambiato i loro nomi originali per poi diventare sottogruppi del famigerato – e invogliante- Palermo. La zona delle case di produzione televisive e cinematografiche per esempio è detta “Palermo Hollywood”, c’è poi il creativo “Palermo viejo”, il più chic “Palermo chico”, l’“Alto Palermo” la zona dell’omonimo centro commerciale, “Palermo Soho”, che evoca con il suo nome la movida di artisti, gallerie e ristoranti della più nordica New York…
Insomma chiamarsi Palermo è un marchio di fabbrica e una sicurezza per chi affitta o vende case.
Però ecco le raccomandazioni di amici e parenti sul pericolo della città mi risultano un po’ fuori luogo mentre bevo la mia meravigliosa birra gelata seduta di fianco a una coppia di gringos, in questa terrazza coi tavolini colorati. La coppia di statunitensi assapora felice un vino tinto con una picada di formaggio, salame e guacamole come aperitivo. Mi sento un po’ a disagio e cerco fra gli altri clienti qualche porteño autoctono o latino immigrato. Nello stesso momento, mentre un quartetto suona jazz all’aria aperta, passa un ragazzo che chiede un sigarillo alla coppia bionda di statunitensi che, senza dubitare, gliene regala un paio. Il ragazzo raggiunge un amico e se ne vanno via ridendo insieme, trainando a mano il loro carro pieno di cartoni e altri materiali di recupero. I cartoneros vengono dalle villas miseria, le baraccopoli o favelas che esistono dentro e ai margini di Buenos Aires. Ogni giorno vengono a cercare in giro e nei cassonetti materiale che si possa rivendere o scambiare.
In Argentina non esistono (almeno per ora) Ikea e Decathlon e come trent’anni fa in Italia gli oggetti si riparano, i vestiti si rattoppano e i mobili si riusano.
Poco dopo al nostro tavolo si materializza una bimba, penso: “avrà più o meno 8 anni”. Chiede soldi senza paura, senza timidezza. Mi sento una pesantezza addosso. Sono a disagio mentre spiego a mio figlio più grande perché quella bimba, più simile a una ragazza ma quasi della sua stessa età, giri sola a chiedere soldi prima di ritornare nel suo angolo di villa. La mia amica Luz interviene, non lascia spazio a sentimentalismi e pensieri banali. Lei è nata in una situazione simile e di certo, dice, non ci tornerà. “Non è facile uscirne, ma si può, chi ci sta è perché non vuole cambiare”.
A volte la gente non ha la voglia di invertire la rotta di una vita che sembra già scritta. La villa è un posto che per tanti versi è un quartiere come un altro, solo che le case si costruiscono negli anni, mattone dopo mattone e i tetti sono di lamiera e i cavi del telefono arpioni da attaccare a pareti improbabili. Però è anche un luogo di scambi illegali, una tana dove nascondersi, dove la polizia non entra e dove, inevitabilmente, vive chi non ha scelta oppure non se l’è cercata, un’altra possibilità.
Mentre ascolto questi discorsi, penso e sento ammirazione per chi cresce in fretta come loro. Poi, all’angolo della strada appare, come poco prima aveva previsto Luz, la famiglia tutta al femminile della bimba: mamma, sorelle e sorelline in braccio, amiche. La chiamano e tutte insieme corrono verso il treno da prendere al volo prima che sia troppo tardi.
Domani mi sveglierò presto e inizierò a camminare, con una media di 15 cuadras, gli isolati di 100 metri che ordinano le strade della città, non voglio sprecare neanche un centimetro di marciapiede scassato sotto i miei sandali estivi. Domani si approda in un altro quartiere, che è un altro mondo, ma sempre sotto lo stesso azzurro e bianco del cielo.
Cosa fare a Buenos Aires con dei bambini:
Tecnópolis – parco all’aria aperta di arte, scienza e tecnologia https://tecnopolis.gob.ar/
Museo del niño – http://www.museoabasto.org.ar/
Centro cultural de la ciencia – http://c3.mincyt.gob.ar/
DA VEDERE E PROVARE A PALERMO:
Ristoranti/ caffetterie
- OUI OUI
Ristorante di ispirazione francese ma di realizzazione argentina, da non perdere in estate la limonata con menta.
https://www.facebook.com/ouiouibuenosaires/
- LAS CABRAS
Se non avete troppa fretta di mangiare e siete disposti ad aspettare una tempistica argentina, Las Cabras fa per voi! E’ un ristorante molto affollato e allegro, piatti abbondanti con varie selezioni di carne, piatti vegetariani e tipici anche della zona del nord dell’Argentina, tutto cucinato al barbecue o nel forno tradizionale di mattoni.
https://www.facebook.com/lascabraspalermo/
- CLUB EROS
Oltre ad essere uno dei pochi bodegón autentici e non troppo cari di Palermo, è anche un club sportivo.
https://www.facebook.com/pages/Club-Eros/123975171012554
- MAGENDIE RESTAURANT CAFETERÍA
https://es-es.facebook.com/pages/Magendie-Restaurante/116656078345091
Ristorante ma soprattutto posto ideale per fare una colazione porteña, seguendo però i dettami del cibo organico e sano… ma molto gustoso!
NEGOZI
- CIRCUITO DE DISEÑO
- SOPA DE PRINCIPE
http://www.sopadeprincipe.com.ar/
Negozio e fabbrica di pupazzi e bambole artigianali
- ETERNA CADENCIA
http://www.eternacadencia.com.ar/home.asp
Libreria, caffetteria e piccola casa editrice.
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