Racconto di viaggio – Costa Rica, Playa Dominical e Pacífico Central.
Arrivando ala casa sperduta nel fitto della giungla
Il caffè è bollente, nonostante il bicchiere termico. Provo, mentre tengo il volante, a berne qualche sorso, ma è un’impresa impossibile. Così mi arrendo e…metto la cannuccia di plastica per bere il caffè…! È come bere mate, non è poi così male.
La strada passa in mezzo ad infinite piantagioni di olio di palma… sì proprio lui, quello famoso! Ci sono due grandi impianti che lo processano e tantissime persone, principalmente dal Nicaragua, che lavorano e vivono in questa zona. È un lavoro da migranti, sottopagati. Vivono in case colorate su palafitte disposte in semicircolo, spesso intorno ad un campo da calcio. Insieme a loro anche tanti bimbi, famiglie intere.

La zona di Dominical è stata tra le prime ad essere scoperte e un po’ colonizzate dagli statunitensi. Alcune di queste spiagge sono famosissime, soprattutto tra i surfisti. La casa dello “scambio numero 3” ci mette a dura prova.
Prima di arrivarci avevo riletto con cura le istruzioni e pure stampato le tre pagine di indicazioni e foto inviatoci dalla proprietaria, sembrava davvero un’impresa ardua. Mi sento sfidata: “non te la senti di fare questa stradina sterrata? che sarà mai!” Certo che me la sento, come no!
Come in un film dell’orrore la proprietaria di questi junglalow ci aveva intimato di arrivare prima che facesse buio…ma il cammino da Playa Ocotal è lungo e quando imbocchiamo il sentiero sterrato la vegetazione lo ha trasformato in un paesaggio dantesco…Se in qualche momento avevo detto che amavo guidare, in pochi kilometri, ho cambiato radicalmente idea. Questa casa è completamente immersa in una natura meravigliosa e selvaggia e per raggiungerla bisogna sfidare le leggi della fisica e sperare che la marcia più potente del 4×4, funzioni alla perfezione. La strada prevede anche l’attraversamento di tre fiumicelli, di cui uno senza ponte, il che significa che la macchina passa direttamente con le ruote tra l’acqua che scende dalla montagna. Per chi ama i fuoristrada immagino sia pane quotidiano, ma per chi normalmente si aggira tra strade asfaltate su una poco sportiva 7 posti, diventa un’esperienza a dir poco adrenalinica…
Arrivati al buio mi rendo conto dopo poco che non esistono finestre nella casa, solo enormi squarci sul verde, coperti da una lieve zanzariera, il tutto senza serrature. Le porte sono aperte e non ci sono vetri, intorno le montagne, in lontananza l’oceano e il suono di mille cicale che non stanno mai zitte.
Passano i giorni e i costaricensi continuano a dimostrarsi persone incredibili, sempre gentili e disponibili. Ho notato che qui sono anche salutisti, amano e preservano il loro paese, la flora e la fauna, e loro stessi; non fumano, raccolgono i rifiuti cercando di riciclare (anche se le infrastrutture non lo permettano troppo), fanno yoga e bevono succhi appena fatti.
Avventure di surf e buio pesto
E poi fanno surf, e il Pacifico è IL posto dove farlo. Quindi non poteva mancare la lezione numero due per Leon e René. Con le onde del Pacifico però non si scherza e per quanto ci facciamo consigliare il luogo adatto ai principianti, il mare è tutt’altro che semplice da affrontare. La baia di Uvita è famosa perché ogni anno le balene vengono qui per avere i loro piccoli e la riserva naturale di Marino Ballena, per uno strano caso del destino, ha proprio la forma di una coda di balena…

I due piccoli Dominguez se la cavano alla grande quando, ormai finite le due ore di lezione, Leon esce dall’acqua coprendosi parte della bocca. Quando mi fa vedere la ferita mantengo stranamente la calma, anche se mi rendo conto subito che va fatta vedere da un dottore. Il posto più vicino per curarlo è a venti minuti dalla spiaggia e tutti in silenzio e pieni di sabbia ci dirigiamo con una certa ansia all’ospedale di Ciudad Cortés.
Chi mi conosce sa delle mie paranoie e maniacalità quando si tratta di malattie, medicine, igiene. La solita gentilezza tica non riesce a farmi distogliere lo sguardo dalla pochissimo attraente sala d’aspetto. Il dottore che ci riceve è silenzioso e attento. Eh sì, ci vogliono un paio di punti! Con una preparazione da sala operatoria vera e propria, una grande professionalità e massima pulizia mi devo ricredere all’istante. Incredibilmente poi il tutto assolutamente gratis, i bambini non pagano.
Leon esce eroicamente con una ferita che potrà dire essersi fatto “facendo surf in Costa Rica!” e che poi, come ci diranno in seguito, è “parte del oficio”, un grande classico del mestiere del surfista.
Il ritorno a casa con una nuova cicatrice, tutti stanchi e provati, non lascia molto spazio al relax. La famosa stradina di vari kilometri con salite e discese, curve, sassi, fango, fiumi, sì proprio quella di cui scrivevo prima, si presenta ora nella versione per stomaci forti: notte, quindi un buio profondo, e sotto la tempesta del secolo, pioggia a cascate, litri di acqua scagliati dal cielo sotto forma di pioggia tropicale. Sulla salita finale e curva, la macchina non ce la fa, scivola e in quel delirio torrenziale rimaniamo sospesi con il freno tirato e il fiume poco più giù.
René dice che ha paura e anche Milo. Anche io. Scendo dalla macchina e stranamente dopo qualche indicazione confusa riusciamo ad arrivare fino di fronte alla nostra porta e spegnere, finalmente, il motore. Sollevati, come solo gli eroi veri si possono sentire, corriamo verso i bagni per farci la doccia, pieni di alghe, salsedine e spavento.
In quel momento salta la luce! René dice che ha paura e anche Milo. Io no, questa volta, ma penso a quella puzza di onde e risacca di mare che emanano i capelli dei mie figli, la cena, la lavatrice che volevamo fare, la spesa nel frigo che si sta riscaldando, ecc…Passato il primo momento di panico, sotto la tempesta che sbatte sul tetto di lamiera ondulata, René si tranquillizza fino a quando si rende conto che dopo giorni di astinenza, il sogno di vedere Netflix nella giungla, sfuma velocemente.
La luce in realtà viene ripristinata dopo un paio d’ore, ma noi non ce ne accorgiamo e questo ci obbliga ad ascoltare ogni minimo suono della notte. Per un qualsiasi amante della natura un’esperienza da non dimenticare, ma per me, un motivo in più per soffrire di insonnia. Mentre l’acqua scorre sul tetto, penso ai fiumi che crescono, la corrente che non c’è e il frigo che si scalda…
Alla fine la mattina arriva sempre
Quando arriva la mattina, perché per fortuna ad un certo punto arriva sempre, preparo un caffè grande, con il filtro, come lo fanno qui e mi siedo sulla amaca nella veranda.
Li ho visti volare sopra di me: una coppia di tucani, bellissimi, disegnati, che arrivano all’albero per dare da mangiare ai loro piccoli.
Quasi quasi qui, ci resto.


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