Racconto di viaggio – Arrivo a San José e viaggi verso la Costa caraibica, Atlantico Sud, Costa Rica.

Era ieri? E’ passato un giorno spaziale dove le coordinate temporali si confondono tra di loro. I viaggi intercontinentali sono così.
Ci siamo svegliati alle 3 del mattino, partiti dall’aeroporto di Bologna poco dopo le 6 poi scalo in Spagna, arrivo a San José alle 14 (ora locale) e alla nostra prima tappa alle 9 di sera…quale sera?
In aereo non dormo mai, o quasi. Mentre Milo ad un certo punto è crollato, Leon e René esaltati dal cartone animato libero per 10 ore (ma quando mi ricapita?!?!) hanno tenuto botta, svegli pure loro.
In auto da San José alla costa del Caribe sono circa 5 ore, si attraversano paesini e si sale fino in cima alle montagne, accerchiate dalla selva, da una giungla verdissima e multiforme.
Siamo arrivati a Puerto Viejo de Talamanca, dove l’umidità tropicale non lascia respirare neanche di notte. Per arrivarci, una volta scesi dalla montagna, si prosegue sulla strada che costeggia il mare: so che è lì, di fianco a me, ma non si vede, più buio della notte.

Apriamo i finestrini, mentre i bimbi dormono profondamente in posizioni improbabili e scomodissime, legati come pacchetti nei loro seggiolini. Mi aspetto di sentire i suoni di una notte estiva, ma qui la notte suena diferente. La testa mi cade e non riesco a rispondere neanche alle domande, a seguire un discorso, penso a quando da bambina dicevo “non riesco a dormire”, mentre ora l’idea di un cuscino è a dir poco struggente.
Una volta arrivati crollo, crolliamo. Mi sveglio assetata nella notte e non abbiamo bottigliette d’acqua, non bevo dal rubinetto perché mi hanno detto che “è meglio di no”!! (Leon mi dice poi “ma la gente del posto lo fa! perché noi no?” A 10 anni i neuroni sono in forma…).

Sento voci dalla strada di persone che ridono e chiacchierano, siamo nel centro del paese…
Puerto Viejo in realtà sono strade e case che si sviluppano dalla strada principale che dalla capitale arriva fino alla frontiera con Panama. Un posto carino, cool direbbe qualcuno, pieno di cucina fusion/vegan/eco/organic (ecc), lezioni di surf e yoga, caffè della montagna speziato, volendo macchiato con latte vegetale e tanti viaggiatori, turisti gringos (…)e stranieri che ci vivono. Tutto concentrato in poche cuadras.
Alle 5.30 sento René che cerca il suo complice Leon e dalle grandi vetrate dell’appartamento si stupiscono dell’Atlantico nella piccola baia, la giungla che si sveglia con il sole, le palme e le liane, strani uccelli neri che più che avvoltoi sembrano tacchini, un piccolo colibrì tra i fiori, e pure un paio di galline che nell’estasi di questo risveglio “primordiale” diventano improvvisamente interessanti e pure un po’ esotiche…
La giornata comincia con colazione quasi sulla sabbia, qualche nuvola in cielo che scompare, frutta, caffè e per qualche audace anche riso e fagioli rossi. Nel bar lavora un ragazzo tico (così si definiscono gli abitanti del Costa Rica) gentilissimo e disponibile che ti serve la colazione rispondendo al tuo grazie con un “con gusto” e un sorriso.
Cavolo, un inizio travolgente, forse per questo tanti italiani si sono trasferiti qui, in una comunità che accoglie etnie di ogni tipo e che da tempi immemori convivono orgogliosamente insieme.
Al ritmo lento del reggae della comunità afro caraibica, senza giacche, scarpe, saluti formali.
Un signore italiano, che sembra probabilmente più vecchio della sua vera età, lavora alle travi della veranda del bar e riordina diversi pezzetti di legno dipinti con colori accesi, bradipi e are scarlatte. Vive qui da poco, ha l’aria un po’ stralunata, trasferito chissà perché, tatuaggi sbiaditi sul braccio, nessun passato, un rastrello in mano e l’idea, forse, di poter ricominciare da zero.

Arriviamo alla spiaggia di Punta Uva e poi alla sua gemella Arrecife attraverso alberi enormi e radici che escono dalla terra.
Guardandomi intorno penso che sí, se qualcuno volesse scappare, scomparire, in un luogo introvabile, farebbe questo: una finca nel nulla pieno di tutto che sono queste foreste, che si fermano solo all’ultimo, trattenendo il fiato, quando stanno per tuffarsi dalla riva, nell’Oceano.


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